Diritto Sanitario |
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CORTE DI CASSAZIONE – PENALE – Colpa medica: condotta negligente del medico.
La nuova previsione del decreto Balduzzi che incentra sulla colpa lieve del sanitario un’ipotesi che ne esclude la responsabilità penale trova applicazione solo per i comportamenti imperiti e non anche per quelli negligenti (sentenza nr. 36347/14). FATTO: 1. La mattina del —- T.C. rimase coinvolto in un sinistro stradale nel quale riportò gravi lesioni da politrauma. Giunto alle ore 10,06 presso l’ospedale —-, il T. venne sottoposto dal medico di guardia, Dott. F., ad una prima visita sommaria e ad un’ecografia che individuò un possibile pneumotorace a destra, in concordanza con quanto già rilevato dal medico del 118 che aveva eseguito un primo soccorso in strada. Vennero richieste alcune consulenze specialistiche ed esami strumentali, tra le quali anche la consulenza rianimatoria della dottoressa C., medico anestesista, e la consulenza chirurgica del dr. P.. Quest’ultimo diagnosticò la presenza di un enfisema sottocutaneo della parete laterale dell’emitorace destro, sicché venne eseguita una radiografia urgente del torace, che confermò la diagnosi, evidenziando l’iniziale deviazione a sinistra del mediastino, in assenza di falde di pneumotorace nei segni di contusione polmonare. Il T. venne quindi trasferito presso il locale CTO per l’esecuzione di una Tac, accompagnato dalla dr.ssa C..Nell’esecuzione dell’esame il T. ebbe un primo e poi un secondo arresto cardiaco, letale, che i successivi accertamenti hanno posto in relazione causale con un pneumotorace iperteso insorto quando il paziente si trovava presso il CTO. 2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Cagliari ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Cagliari, sezione distaccata di Iglesias, con la quale la C. è stata giudicata responsabile del decesso del T..Secondo il giudizio concorde dei giudici di merito, la condotta della C. fu conforme alle legis artis e a regole di generica prudenza, diligenza e perizia sin quando il paziente era stato presso l’ospedale (OMISSIS). All’inverso, durante la successiva permanenza presso il CTO, la dr.ssa C. aveva omesso di effettuare una tempestiva diagnosi di pneumotorace iperteso e di eseguire delle semplici manovre terapeutiche, quali l’introduzione di un tubo di drenaggio, che sarebbero valse a salvare il T., così cagionandone la morte. Conclusivamente alla C. si è ascritto di aver sottovalutato la gravità della situazione, omettendo negligentemente di considerare i dati convergenti verso l’insorgenza di un pneumotorace iperteso. DIRITTO: La Corte di Appello ha ritenuto che non possa trovare applicazione al caso in esame la novella legislativa introdotta dal decreto Balduzzi perché ricorrente un comportamento negligente, mentre le linee guida di cui alla ricordata normativa contengono solo regole di perizia. La Corte di Cassazione ha rilevato che correttamente, quindi, la Corte di Appello ha precisato che il comportamento ascritto alla C. va ascritto al novero delle condotte negligenti e pertanto non vi è luogo all’applicazione dell’art. 3 del decreto Balduzzi (D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 3 – conv. in L. 8 novembre 2012, n. 189). La nuova previsione, per contro, incentra sulla colpa lieve del sanitario un’ipotesi che ne esclude la responsabilità penale; ma – secondo la puntualizzazione già operata da questa Corte – solo per i comportamenti imperiti e non anche per quelli negligenti (Sez. 4, n. 11493 del 24/01/2013 – dep. 11/03/2013, Pagano, Rv. 254756). Sicché, non è possibile, oggi, richiamare la linea interpretativa espressa ad esempio dalla sentenza Di Lella, pretendendo di conseguire in forza di questa gli effetti previsti dal c.d. D.L. Balduzzi senza che sussistano tutti gli elementi della fattispecie delineata dal legislatore.
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TAR DEL LAZIO: Legittima l’applicazione degli studi di settore anche ai MMG
SENTENZA N. 9339/14 FATTO: L’Agenzia delle Entrate ha incluso con diversi provvedimenti nel meccanismo degli studi di settore anche la categoria dei medici di medicina generale, imponendo agli stessi accertamenti ed adempimenti di natura tributaria. La F.I.M.M.G. – Federazione Italiana Medici e di Medicina Generale – quale ricorrente rileva che gli studi di settore non sarebbero applicabili alla categoria dei medici di medicina generale, in quanto gli stessi hanno stipulato una convenzione nazionale che regola, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 30.12.1999 n. 502 il rapporto di lavoro autonomo, continuativo e coordinato che si instaura tra le Aziende Unità Sanitarie locali e i medici di medicina generale, per lo svolgimento dei compiti e delle attività relativi ai settori di: a) assistenza primaria di medicina generale; b) continuità assistenziale; c) attività territoriali programmate. Tale convenzione vincolerebbe i medici di medicina generale, che sarebbero soggetti alle regole dettate dal Servizio Sanitario Nazionale (per quanto concerne il numero di pazienti da assistere, per i compensi. per le ore di lavoro, per le ferie, ecc.), per cui essi non svolgerebbero un’attività libero professionale autonoma, svincolata da direttive o limitazioni imposte dalla suddetta convenzione con il Servizio sanitario nazionale. L’Agenzia delle Entrate e il Ministero dell’Economia e delle Finanze si sono costituiti in giudizio con atto formale. DIRITTO: Il Collegio ha rilevato che la particolare natura del rapporto che lega i medici di medicina generale, nonostante la sua pervasività, per come dedotto dalla federazione ricorrente, non può escludere la possibilità che tali professionisti possano comunque percepire, nell’esercizio della loro attività, redditi diversi da quelli elargiti dal Sistema Sanitario Nazionale. La stessa Federazione ammette, invero, che i medici da essa rappresentati sono “formalmente autonomi professionisti” che svolgono la loro attività per il servizio sanitario nazionale. Gli stretti vincoli che limitano l’attività dei medici di medicina generale del S.S.N., tuttavia, non giungono ad impedire che gli stessi possano svolgere anche un’attività libero professionale, che come tale può essere assoggetta al meccanismo degli studi di settore. Né l’esiguità dei compensi percepiti da tale categoria di professionisti, dedotta dalla ricorrente, può giustificare un esonero dalla disciplina in questione. Anche laddove i compensi percepiti dal SSN raggiungessero la quota del 90% del reddito dei professionisti, indicata dalla istante, ciò comunque non impedirebbe di ritenere legittima l’applicazione per la restante parte del meccanismo degli studi di settore, posto che essi non dipendono dalla quota di provenienza dei redditi, ma dalla natura di lavoratori autonomi dei medici del S.S.N.-.Le censure di parte ricorrente, quindi, non appaiono idonee a ritenere l’illegittimità della applicazione degli studi di settore ai medici di medicina generale).
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CORTE DI CASSAZIONE -SEZ. LAVORO: Personale sanitario. Indennità di rischio radiologico
SENTENZA N. 17757/14 Va riconosciuta l’indennità di rischio radiologico al personale medico che in funzione dell’attività espletata si venga a trovare in maniera continuativa e non occasionale a contatto con fonti radioattive. FATTO: Con sentenza del 14 gennaio 2008 la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale, ha accertato il diritto di — e degli altri litisconsorti, tutti dipendenti dell’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento di cui alcuni medici chirurghi plastici della mano ed altri medici ortopedici, a percepire l’indennità di rischio radiologico a decorrere dal 1 luglio 1998 nonché ad usufruire delle ferie cosiddette biologiche nella misura dovuta per il periodo dal 1 luglio 1998 al 31 dicembre 2004, con conseguente condanna dell’Azienda Ospedaliera a corrispondere le somme indicate a lato di ciascuno dei ricorrenti. La Corte territoriale, richiamata la normativa anche contrattuale applicabile, ha rilevato che il c.t.u. pur avendo rilevato che i ricorrenti operavano in modo continuativo nella zona controllata, aveva ritenuto che la frequentazione anche continuativa di tale zona non era di per sé indice di esposizione al rischio ed aveva concluso che i ricorrenti erano esposti al rischio, ma in modo non continuativo e solo occasionale.Secondo la Corte, invece, i ricorrenti, medici chirurghi professionalmente impegnati nella loro specifica funzione avvicendandosi nelle sale operatorie secondo turni prestabiliti, esposti ad un rischio radiologico per una percentuale di casi che poteva assumere incidenza rilevante e con il possibile superamento dei valori soglia, non potevano essere considerati frequentatori occasionali delle zone controllate e che in tale situazione si sarebbero potuti trovare soltanto coloro che saltuariamente erano chiamati da altri reparti per effettuare le medesime prestazioni mediche.Secondo la Corte pertanto l’esposizione cui erano sottoposti i ricorrenti doveva ritenersi permanente o continuativa e non solo occasionale così come del resto aveva concluso altro consulente e in un’altra causa per colleghi degli odierni ricorrenti che operavano nella medesima struttura.Avverso la sentenza ricorre in cassazione l’Azienda Ospedaliera formulando 5 motivi. Resistono i medici depositando controricorso. DIRITTO: La Corte di Cassazione ha rilevato che la nozione di rischio radiologico, presupponendo la condizione dell’effettiva esposizione al rischio connesso all’esercizio non occasionale, né temporaneo di determinate mansioni, può essere riconosciuto, indipendentemente dalla qualifica rivestita, in relazione alle peculiari posizioni di quei lavoratori che si trovano esposti, per intensità e continuità, a quello normalmente sostenuto dal personale di radiologia. Spetta al giudice di merito accertare la sussistenza di tali condizioni ed il relativo accertamento, se correttamente motivato, resta esente dal sindacato di legittimità (cfr Cass. n 4525/2011 avente ad oggetto l’accertamento dell’esposizione al rischio di medici colleghi dei controricorrenti svolgenti identiche mansioni). Secondo la Corte il c.t.u., tuttavia, non aveva considerato ulteriori elementi di valutazione ai fini dell’accertamento dell’intensità quantitativa e qualitativa dell’esposizione al rischio e che cioè "a differenza dei chirurghi generici gli specialisti ortopedici o della mano, dovendo talora ricorrere nel corso degli interventi ad un esame diretto sotto radiografia per i loro interventi, non potevano certo indossare i pesanti abiti di protezione, che gli avrebbero ostacolati, e non potevano allontanarsi dal paziente, né munirsi dell’apposito anello rivelatore dell’intensità delle radiazioni assorbite" restando in tal modo, nei momenti in cui operavano senza potersi avvalere dei dispositivi di protezione cui facevano ricorso gli altri medici esposti pacificamente alle radiazioni).
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