Diritto Sanitario |
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CORTE DI CASSAZIONE – CIVILE: La guardia medica non si deve fare carico di attivare personalmente il servizio del "118"
La Corte di Cassazione ha affermato che non può non constatarsi che a mente dell’art. 67 dell’A.C.N. di medicina generale non rientra nei compiti del sanitario di guardia medica locale quello di assicurare il servizio di eventuale ospedalizzazione dei pazienti dai quali o nell’interesse dei quali egli viene contattato per motivi sanitari. FATTO: Con sentenza del 24.2.2009 resa all’esito di giudizio ordinario il Tribunale di Reggio Calabria ha riconosciuto L.M. colpevole del reato di rifiuto di un atto di ufficio (art. 328 c.p. , comma 1) per essersi, quale medico di guardia in servizio di continuità assistenziale a Gallico (Reggio Calabria), rifiutato di eseguire visita domiciliare di C.I., richiesta in via di urgenza dalla figlia della paziente il 18.3.2007. Nel pomeriggio del 18.3.2007 la signora C.I., già affetta da ulcera duodenale cronica, avverte forti dolori all’addome e assume un antidolorifico in sua disponibilità, che non migliora la sua condizione, progressivamente peggiorata con il sopraggiungere di vomito e l’acuirsi dei dolori addominali, sino al punto di farla a più riprese svenire. Allarmata, la figlia F.I. alle ore 19.00 circa chiama per telefono la guardia medica e illustra al sanitario di turno, cioè al dott. L., la sintomatologia della madre. Il medico non ritiene di recarsi a controllare di persona lo stato della signora C. e suggerisce alla figlia di chiamare senza indugio il "118" per ospedalizzare la madre, valutando necessario effettuare rapidi controlli strumentali per risalire alle cause della patologia della paziente. La Corte di Appello di Reggio Calabria ritiene censurabile, per i fini di cui all’art. 328 c.p. , comma 1, il "modo" in cui il medico di guardia ha affrontato la situazione. I giudici di appello affermano, infatti, che l’imputato – proprio in virtù della "estrema serietà" della sintomatologia della paziente riferitagli dalla figlia – non potesse astenersi da "una immediata verifica "in loco" delle condizioni di salute della donna" e avrebbe dovuto contattare direttamente il servizio del 118. DIRITTO: La Corte di Cassazione rileva che é fuori discussione, trattandosi di dato pacifico, che l’imputato, nella sua qualità, ha espresso un corretto giudizio diagnostico sulle condizioni della signora C., fondatamente alimentando il ragionevole sospetto (dolore addominale non attutito dall’assunzione di un antidolorifico e via via aumentato sino a far perdere i sensi alla donna) di un infarto cardiaco in atto e, dunque, di una situazione di assoluta urgenza di ricovero ospedaliero. Illogico si mostra il singolare ragionamento della Corte di Appello secondo cui il L. avrebbe dovuto in ogni caso recarsi a casa della C. e visitarla per constatare di persona un quadro clinico già sufficientemente chiaro alla stregua dei dati informativi forniti al L. dalla figlia della paziente. In secondo luogo non è dato comprendere in qual modo il L., ammesso che fosse stato avvertito, avrebbe potuto ovviare con la sua "autorevolezza" di medico (come si afferma in sentenza) alla momentanea mancanza di autoambulanze per eseguire il ricovero della C.. Ne discende che l’imputato, nell’esercizio della sua funzione di medico di continuità assistenziale (c.d. guardia medica), si è uniformato alle linee guida dettate dall’accordo collettivo nazionale di medicina generale (segnatamente con l’art. 67), operando con coscienza e accortezza professionali inapprezzabili per gli effetti di cui al contestato art. 328 c.p. , comma 1. Ribadendosi che il medico di turno territoriale non è tenuto ad eseguire visite domiciliari per ogni paziente di cui gli si prospettino eventuali patologie sanitarie, priva di pregio deve considerarsi, infine, anche la mancata annotazione sul registro di guardia medica dei contenuti della chiamata telefonica della figlia della C.; contenuti sui quali non sussistono divergenze o dubbi ricostruttivi. Ora non può non constatarsi, come si evidenzia nel ricorso, che a mente dell’art. 67 dell’A.C.N. di medicina generale non rientra nei compiti del sanitario di guardia medica locale quello di assicurare il servizio di eventuale ospedalizzazione dei pazienti dai quali o nell’interesse dei quali egli viene contattato per motivi sanitari. Laonde appare davvero fuori luogo l’inciso argomentativo con cui la sentenza impugnata assegna al dott. L. anche una mansione di "stimolatore per le vie brevi" del servizio "118". E’ agevole concludere che nel comportamento tenuto dall’imputato non è configurabile nessun rifiuto di atti dovuti del suo ufficio di medico in servizio di continuità assistenziale suscettibile di integrare il reato ex art. 328 c.p. , comma 1. Pertanto alla luce delle argomentazioni sopra esposte la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste).
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CORTE COSTITUZIONALE: CCEPS nel mirino dei giudici.
Prevista dalla legge istitutiva degli ordini provinciali nel 1946, la Commissione centrale esercenti professioni sanitarie – che accoglie i ricorsi in appello degli iscritti a ordini di medici e farmacisti, commissioni odontoiatriche e collegi ostetrici, infermieri e tecnici di radiologia- è un organo giurisdizionale presieduto da un magistrato consigliere di stato e con un collegio a composizione variabile: se il ricorrente è medico due rappresentanti del Ministero della Salute sono integrati da cinque medici, se è dentista integrano cinque odontoiatri etc. I contenziosi sulla composizione fin qui hanno riguardato i membri sanitari. Ma l’ordinanza 596 della Cassazione del 15/1 scorso chiede alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sui membri ministeriali a seguito di un contenzioso tra un cittadino siriano e l’Ordine dei Medici di Milano. Il medico non si era laureato in Siria, paese il cui titolo è riconosciuto, ma in Libano, e l’Omceo gli aveva detto no, confermato dalla Cceps. Il medico ha ricorso in Cassazione, perché la Cceps è in parte ministeriale, vi siede in teoria chi ha contribuito a non far riconoscere la laurea libanese. La Cassazione ha considerato l’articolo 6 della convenzione dei diritti dell’Uomo che chiede la terzietà del giudice e ha investito la Corte Costituzionale: in tema di iscrizioni è giusto che in Cceps siedano componenti ministeriali? In Italia ordini di giornalisti, architetti ingegneri non hanno più potere giurisdizionale in base al dl 138/2011, e a giudicare sugli iscritti sono i consigli di disciplina, fatti per lo più da togati. Gli ordini sanitari possono invece sanzionare e decidere sulle iscrizioni. Basta loro come garante una Cceps con un presidente magistrato ma ben due ministeriali e cinque sanitari (potenziali concorrenti economici del collega ricorrente secondo la visione "europea")? A garanzia del diritto di difesa, dell’autonomia e della terzietà del giudizio disciplinare" il neoministro della Salute Beatrice Lorenzin nel ddl omnibus ha fatto inserire all’articolo 3 la previsione secondo cui gli ordini "separano la funzione istruttoria da quella giudicante". Ogni Regione dovrebbe insediare Uffici istruttori di Albo per giudicare su esposti o richieste di ordini. Il Presidente Omceo milanese Roberto Carlo Rossi non si esprime sulla vicenda che interessa il suo Ordine ma ammette che la questione ha due volti. «Da una parte c’è il dibattito sul potere disciplinare degli ordini, organi elettivi sui cui componenti una professione fa affidamento perché traccino il confine deontologico, cioè condiviso all’interno della professione stessa, tra ciò che è ammissibile in un atto (medico, nel nostro caso) e ciò che non lo è. A mio avviso sarebbe aberrante abolire questa difesa data al cittadino dall’ordinamento in nome di una terzietà che porterebbe solo confusione: con l’istituzione dell’ufficio di cui al ddl omnibus, per assurdo si può arrivare a un contesto in cui l’ordine dice che una cosa non va bene, l’ufficio sì e il cittadino è disorientato. Dall’altra parte – continua Rossi – la Cceps non è organo elettivo ma è frutto di nomine, "filiazioni" di Esecutivo e Fnomceo, esterne al potere Giudiziario; è un tribunale anomalo con troppi pochi supplenti, e la Consulta l’anno scorso ha chiesto che la composizione cambi ove la Cassazione dovesse rinviare al mittente sentenze Cceps. E ancora: per alcune categorie – i doppi iscritti medici odontoiatri – i giudizi "raddoppiano". Ci sono elementi di confusione che forse si supererebbero con un corpus totalmente elettivo di marca Fnomceo, Fofi, Ipasvi a seconda della categoria, anziché fare tabula rasa delle norme esistenti». Mauro Miserendino
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CORTE DI CASSAZIONE – PENALE: Dirigenti medici e attestazione presenza in servizio La Corte di Cassazione conferma che costituisce condotta suscettibile di integrare il reato di truffa quella del dirigente medico che si allontani dal luogo di lavoro senza far risultare mediante timbratura del cartellino i periodi di assenza. Al tempo stesso viene confermata la decisione del gup che disponeva il non luogo a procedere per difetto di imputabilità del dirigente medico affetto da un disturbo delirante cronico. FATTO: N.G. era stato imputato del reato di truffa aggravata perché, nella sua qualità di dirigente medico dell’ASL RMC timbrava i cartellini segnatempo attestanti la presenza sul luogo del lavoro dal quale, però, si allontanava senza effettuare le prestazioni lavorative inducendo così in errore l’Amministrazione di appartenenza che gli corrispondeva, dal 18/04/2011 al 30/06/2011, l’importo non dovuto di € 21.842,52. Con sentenza del 07/03/2014, il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Roma disponeva il non luogo a procedere nei confronti di N.G. – imputato per il reato di cui all’art. 640/2 cod. pen. – per difetto di imputabilità essendo il medesimo affetto da un disturbo delirante cronico così come accertato dal perito.2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la VIOLAZIONE DELL’ART. 425 COD. PROC. PEN. per avere il giudice pronunciato sentenza di non luogo a procedere per mancanza di imputabilità nonostante non vi fosse alcuno elemento per sostenere la configurabilità del reato attribuitogli. Con memoria depositata il 30/12/2014, il ricorrente ha ribadito ed ulteriormente illustrato quanto dedotto con il ricorso.
DIRITTO: La Corte di Cassazione ha affermato che nel caso di specie, il giudice dell’udienza preliminare ha rilevato che, “quanto ai fatti oggetto d’imputazione, l’esposto in atti dell’Asl Roma C, del 30/09/2011, prot. 59554, con documenti allegati, consente di ritenere accertata la configurabilità, in termini materiali e di colpevolezza del reato attribuito all’imputato”: il che significa che la documentazione in atti non consentiva alcun proscioglimento ma, anzi, imponeva il rinvio a giudizio.
Poiché, però, era emersa una pacifica causa di non imputabilità, correttamente, il giudice dell’udienza preliminare ha dichiarato il non luogo a provvedere per difetto di imputabilità. Sul punto va osservato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, “a seguito della modifica dell’art. 425 cod. proc. pen., introdotta con l’art. 23 della L. n. 479 del 1999, deve ritenersi ricompresa nella disposizione normativa secondo cui il giudice può pronunciare sentenza di proscioglimento nei confronti di persona non punibile per qualsiasi causa anche l’ipotesi di difetto di imputabilità per incapacità di intendere e di volere, a condizione che non debba essere applicata una misura di sicurezza personale, in considerazione dell’assenza di pericolosità sociale dell’imputato”: Cass. 21826/2014 Rv. 259577. Pertanto la Corte di Cassazione rileva che la correttezza della decisione impugnata resta ancor di più confermata proprio perché lo stato precario di salute mentale, se costituisce una causa di non imputabilità, non può certo determinare il non luogo a procedere per motivi di merito. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali).
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